La panissa vercellese è un piatto della tradizione popolare a base di riso. La particolarità sta nella cottura con il brodo di fagioli.
Non si può raccontare la storia della panissa senza fare un passo indietro nel tempo, cercando di ricostruire la storia della nostrana cottura del riso o del risotto.
Giacomo Grasso, autore del libro “Storia della cucina vercellese“, Saviolo Edizioni, racconta di un passaggio lento e graduale dalla minestra di riso al risotto. L’evoluzione avviene insieme ai gusti e alle abitudini alimentari del popolo, passando attraverso alcune contaminazioni straniere. Cercherò di riassumere i concetti principali qui si seguito.
La prima preparazione del riso asciutto, accostato a verdure e carni bianche, fu la paella, conosciuta in Italia durante la dominazione spagnola tra il 1500 e 1600, in particolare in Lombardia. Anche l’influenza del mondo arabo fu importante: la cottura pilaf, originaria della Persia, giunse in Italia grazie agli assidui rapporti commerciali dei mercanti veneziani con il mondo ottomano, introducendo il concetto di tostatura del riso, che conferisce maggiore consistenza e tenuta di cottura. Anche il soffritto di cipolla, con l’aggiunta successiva di brodo caldo, deriva dalla cottura pilaf, che però veniva completata in forno, dopodiché il riso era accostato come contorno alle carni cotte nella stessa acqua per preparare il brodo.
Uno dei primi testi in cui si trova una sorta di tostatura del riso proviene in realtà dal sud Italia: è “Il Cuoco Maceratese” di Antonio Nebbia, del 1779, in cui il riso, dopo essere stato ammollato e asciugato, viene fatto soffriggere con burro e cipolla prima di cuocerlo nel brodo. Tornando al Nord, tra le prime ricette simili a risotto in cui compare il soffritto c’è la panissa alla vercellese, o paniscia nella sua declinazione novarese con verdure, diffusasi in questa zona del Piemonte intorno alla metà del 1800. Il termine “panissa” deriva probabilmente dal latino “panicum”, cioè panìco, uno dei cereali poveri, insieme a miglio, sorgo, spelta e farro, che venivano utilizzati nelle zuppe popolari e nelle focacce sin dall’Alto Medioevo.
Verso la metà del 1400 la coltivazione del riso fu introdotta nel vercellese grazie ai monaci cistercensi che si erano insediati nelle Grange, fondando nel 1123 l’Abbazia di Santa Maria di Lucedio. I primi sistemi di lavorazione erano rudimentali e il riso subiva danneggiamenti. Soltanto dal 1600, grazie alla costruzione delle pilerie, la qualità del riso cominciò a migliorare, tanto da esaltarne il chicco integro e consistente in preparazioni asciutte. Da qui il passaggio da panicum, o panìciu nel termine dialettale, a panissa è breve.
Nonostante non ci sia ancora oggi una ricetta unica e riconosciuta, la particolarità della panissa sta nel soffritto di cipolla, lardo e salame sotto grasso, nel quale viene tostato il riso, sfumato poi con del vino rosso. Il riso viene poi fatto cuocere insieme al salame sotto grasso nel brodo di fagioli e infine mantecato con il formaggio grattugiato.
Parlando con gli agricoltori e i ristoratori della zona, ho appreso che riso “da panissa” per tradizione è il S. Andrea. Si tratta di una varietà del 1968, selezione dal Rizzotto, nata alla Stazione Sperimentale di Risicoltura di Vercelli. Il nome sembra legato alla Basilica di S. Andrea di Vercelli. Sicuramente un riso molto apprezzato anche il risotto, incluso nelle varietà delle DOP di Baraggia Biellese e Vercellese e scelto dal concorso internazionale di cucina Bocuse D’Or Italia nel 2018.
Anche il riso Baldo e il Roma sono utilizzati nella panissa, grazie al buon rilascio di amido e allo stesso tempo per la tenuta di cottura.
Pur rimarcando che le variazioni sono innumerevoli (mia nonna ad esempio aveva una ricetta della panissa diversa) riporto una delle versioni di panissa pubblicata sul libro “Storia della cucina vercellese”, tratta da documentazione storica.
Panissa alla vercellese
Tratto da “Storia della cucina vercellese”, Giacomo Grasso.
Ingredienti:
- Cipolla, tutte le varietà esclusa quella rossa
- Lardo stagionato e non aromatizzato
- Salame dl’ula, stagionato almeno 3 mesi
- Riso delle province di Biella e Vercelli (Bianco lavorato. No rossi, neri e parboiled)
- Fagioli di Saluggia, Borlotti o Scozzesi.
- Vino rosso piemontese non aromatico (facoltativo)
- Pomodoro, concentrato, passata o fresco
- Sale
- Formaggio raspà (grattugiato), anche questo facoltativo.
Nella versione di tradizione popolare si aggiungono:
- Cotenne, zampini e costine di maiale
- alloro
- rosmarino
- pepe macinato al momento
Preparazione
Per la “bru- üra di fasö'”, brodo di fagioli.
Cuocere i fagioli per 60 minuti, la stessa mattina della preparazione della panissa, insieme a un pezzo di salame. Non si possono cuocere il giorno prima, perché perderebbero la nota aromatica leggermente erbacea e il sentore di nocciola. I fagioli vanno messi a bagno la sera precedente, lasciandoli in ammollo tutta la notte.
Per la panissa
In un tegame soffriggere la cipolla con il lardo e parte del salame sbriciolato. Tostare il riso e sfumare con il vino risso finché non sarà completamente consumato. Aggiungere il brodo di fagioli caldo, mettendo anche parte dei fagioli, e portare a cottura. Regolare di sale e mantecare con il formaggio grattugiato.
Panissa:
Croce e delizia,
Osannata e bistrattata,
Discussa dibattuta e chiacchierata
Giacomo Grasso
E se dopo tutto questo discorso vi è passata la voglia di cucinare, ecco un elenco di ristoranti dove mangiare una buona panissa! Lo trovate sul sito della Strada del riso vercellese di qualità.
avevo fatto corso per sommelier del riso, trovo interessante il suo lavoro, complimenti
La ringrazio di cuore!