“Sustainable EU rice – Don’t think twice” è il titolo del progetto di promozione del riso europeo che vede Ente Nazionale Risi capofila insieme a Casa do Arroz portoghese e SRFF – Sindacato dei Risicoltori di Francia e Filiera.
Lo study trip organizzato in Camargue rappresenta la prima tappa di un lungo viaggio che attraversa l’Europa mediterranea, alla scoperta di un’eccellenza internazionale: il riso japonica.
Cos’è il riso japonica? Non fatevi ingannare dalla forma.
Viene spontaneo pensare che la dicotomia japonica e indica corrisponda ad un generico chicco tondeggiante versus chicco aghiforme, ma in realtà la distinzione è prettamente botanica.
La specie O. sativa, a cui appartengono quasi tutte le varietà coltivate al mondo, ha come centro di differenziazione le pendici dell’Himalaya. Sembra che le prime piante del riso siano partite proprio da qui circa 10.000 anni fa e siano migrate sia verso Nord sia verso Sud grazie agli spostamenti dell’uomo, adattandosi di volta in volta al clima in cui si sono trovate a crescere. La presenza della barriera montuosa ha offerto le condizioni affinché si affermassero due popolazioni distinte di riso, poi suddivise botanicamente in due sotto-specie: indica e japonica. La prima si adatta soprattutto a climi tropicali o sub-tropicali, diffusi in tutto il mondo a partire dall’India verso la fascia tra l’equatore e i tropici. La sotto-specie japonica è adatta invece ai climi temperati e deriva il suo nome invece dal cammino a Nord verso il Giappone, passando dalla Cina.
In Europa si coltiva per questioni climatiche principalmente riso japonica, che ha chicchi prevalentemente tondeggianti: basti pensare ai risi italiani della tradizione (lunghi A), ideali per risotto, e agli storici risi tondi da minestra. Solo negli ultimi decenni, grazie alla ricerca varietale, l’Europa ha iniziato a coltivare i chicchi allungati, simili al Basmati, che in gergo vengono definiti “indica” perché ricordano i risi di quella sotto-specie, ma che di fatto sono botanicamente risi japonica. E se in Italia il consumo di risi lunghi B è piuttosto limitato, il consumatore europeo ama i chicchi lunghi e sottili, avendoli scoperti grazie alle importazioni dalle colonie asiatiche e sudamericane.
Riso di Camargue IGP: la risaia sostenibile.
Nasce nel 1998 l’IGP di Camargue, ma la coltivazione del riso in questo lembo di terra al sud della Francia ha radici più antiche. Al Museo della Camargue si legge che “la coltivazione del riso è stata introdotta intorno al XIII secolo”: mi vengono in mente i monaci cistercensi di Borgogna che nel 1123 fondarono l’Abbazia di Santa Maria di Lucedio nei pressi di Vercelli e introdussero il riso in coltivazione a livello di orto botanico. D’altronde si sa che la Francia fu uno dei canali attraverso cui arrivò il riso in Italia, partendo dalla Spagna e ancor prima dai paesi arabi. La vera fase produttiva però iniziò in Camargue solo a partire dal ‘900, dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie agli aiuti economici del Piano Marshall e alla costruzione delle infrastrutture irrigue. Benché la Camargue godesse di una posizione privilegiata nel delta del Rodano, era necessario apportare le acque dolci fluviali, tramite un sistema di pompe, in un territorio di per sé salmastro; un’opera importante non solo per rendere coltivabili i terreni, ma anche per tenere sotto controllo il cuneo salino proveniente dal mare, con l’ausilio aggiuntivo di un sistema di dighe. La prima e la più preziosa utilità della risaia in Camargue è proprio la capacità di preservare la biodiversità, alimentando il territorio e la sua fauna con le acque dolci provenienti dal Rodano e favorendo il dissalamento del suolo in profondità. Non a caso, dopo il turismo, è l’agricoltura la seconda attività economica del delta del Rodano, con il 20% della superficie coltivata dedicata al riso. L’apporto di acqua fluviale ha poi un altro importante ruolo nella risicoltura: grazie alla sommersione delle risaie, l’acqua funge da volano termico, proteggendo il riso durante e dopo la semina dal Mistral, il freddo vento di Nord-Ovest che spazzerebbe via le piantine neonate.
Che riso si mangia in Camargue?
L’evoluzione dei gusti del consumatore va di pari passo con la coltivazione del riso di Camargue. Ancora prima del riconoscimento IGP, il Sindacato dei Risicoltori di Francia e Filiera, oggi presieduto da Bertrand Mazel, è stato fondato nel 1947 dai membri della filiera risicola per promuovere il riso di Camargue e le sue caratteristiche intrinsecamente legate al luogo di coltivazione e alle modalità di produzione e confezionamento. A differenza del riso italiano, che è molto legato alle varietà storiche, in particolare da risotto, il riso francese è più legato al territorio e al suo terroir, dal quale il riso assume caratteristiche organolettiche peculiari. La ricerca varietale al “Centre Francais su Riz” si concentra anche sulla nascita di nuove varietà, ma soprattutto su tecniche innovative di coltivazione che permettano di mantenere l’equilibrio tra le condizioni ambientali non sempre favorevoli (come la salinità dei terreni e i forti venti da Nord-Ovest) e l’attività agricola, con un occhio di riguardo verso un tipo di coltivazione biologica.
Tra i risi di Camargue non troviamo quindi specifiche varietà, ma tipologie di riso confezionate come “rond” (tondo), “medium” (medio) e “long” (lungo A e lungo B), trasformate secondo diversi gradi di lavorazione, dal “riz complet” (ovvero integrale) al “riz blanc”, ossia sbiancato. In Camargue, oltre ai classici risi bianchi, si coltivano anche i risi colorati, neri e rossi.
Risi di Camargue biologici dell’azienda agricola SA Biosud.
Una panoramica più precisa della varietà più coltivate in Camargue l’abbiamo avuta da Monsieur Thomas, proprietario dell’azienda agricola SA Biosud.
Intanto un piccolo inciso sui numeri della risaia francese: sono 11.000 gli ettari coltivati (dato 2022), di cui l’83% si trova in Camargue, mentre la produzione di risone (grezzo, non lavorato) si aggira intorno alle 71.800 tonnellate (2020). La SA Biosud produce circa 11.000 tonnellate di risone all’anno (circa 7.000 di riso lavorato) ed è una realtà importante nel panorama risicolo francese, soprattutto per il fatto che dal 2005 produce esclusivamente riso e cereali biologici (comprese le farine), destinati in buona parte al mercato “Baby Food”.
Monsieur Thomas spiega che in Camargue i terreni non sono particolarmente buoni per coltivare riso da risotto, così non si trovano i classici Carnaroli e Arborio, mentre sono apprezzate altre varietà italiane per usi diversi. Il Selenio ad esempio è un tondo cristallino da sushi, Ronaldo è un tipo Ribe (che in Italia usiamo soprattutto da parboiled) che viene prodotto per l’industria di trasformazione, ma anche per il consumo come riso da contorno. Una curiosità: si coltiva un riso tipo Ribe, questa volta francese, che si chiama Arelate, dall’antico nome della romana Arles. Non mancano il riso rosso (Tam Tam) e il nero (Artemide), sempre coltivati, lavorati e confezionati in Camargue, come vuole l’IGP. Ma da buona italiana non potevo resistere senza sapere il nome delle varietà di riso!
Le ricette con il riso di Camargue IGP.
Durante lo study trip in Camargue non ci siamo limitati alla visita di risaie e riserie, musei e centri di ricerca, ma abbiamo assaggiato personalmente la qualità del riso di Camargue. Inutile dire che la tradizione del risotto non è propriamente francese, mentre traspare l’influenza coloniale dell’Indocina che vede il riso servito come contorno per carne e pesce. La fine degli imperi coloniali ha sicuramente dato una spinta alla ricerca varietale europea, con l’obiettivo di inserire in un panorama per lo più composto da risi tondeggianti, varietà dal chicco lungo e affusolato, adatte alla coltivazione in climi temperati e ideali per accompagnamento a piatti unici in cui il riso sostituisce il pane.
Tra le migliori ricette che ho selezionato ci sono un riso al nero di seppia, servito con gamberi fritti, preparato con un riso Lungo A tipo Ribe sbiancato.
Ottima anche la guancia di toro, specialità della Camargue, servita con un mix di risi integrali, compresi il rosso e il nero.
Infine il dessert: riso e latte, che a volte associamo alle ricette “della nonna”, ma che è una preparazione internazionale dalle origini incerte, forse arabe, ma comunque ancora oggi diffusa nel Sud America con il nome di “arroz con leche”.