La panissa è un piatto tipico vercellese a base di riso cotto con salame e brodo di fagioli.
Fin qui siamo tutti d’accordo. Ben tornati nel blog sul riso!
Le varianti però sono innumerevoli.
Vedi anche il post sulla Storia della panissa e ricetta della tradizione.
Hanno scritto sulla panissa nomi importanti come Giancomo Grasso, nella “Storia della cucina vercellese“, che vi consiglio di leggere assolutamente se siete amanti della cucina della tradizione. Va alla scoperta delle sue radici e propone con sapienza e ricerca diverse varianti di questa ricetta così discussa. Se non lo trovate in libreria potete scaricarlo online su ISSUU.
Anche Luigino Bruni, ne “La cucina alessandrina“, ha scritto sulla panissa, una preparazione conosciuta anche a Casale Monferrato e nel Tortonese. E’ una zona dove il riso non si coltiva, ma che ha prestato la sua manodopera femminile nel secolo scorso alla Lomellina.
Non andrò a elencare le numerosi varianti della panissa (ci sono lavori molto più approfonditi che possono acculturarvi in materia), ma mi limiterò a raccontarvi la mia ricetta del cuore. E’ quella che mia nonna cucinava per me quando ero bambina. I ricordi a volte ingannano, ma ho la fortuna di poter ancora chiamare la nonna Mariuccia per chiederle: “nonna, mi dai la ricetta della panissa?“. Dopo una serie di commenti, come:
“ma ce li hai i fagioli secchi? Guarda che viene più buona. Li do a tuo papà se non hai tempi di passare, ma guarda che li devi lasciare ammollo tutta la notte”
finalmente mi racconta la sua ricetta così speciale e tanto amata.
Negli anni ho assaggiato tante varianti della panissa, molte più strutturate rispetto a quella di mia nonna, colorite dal vino rosso o dal pomodoro, arricchite dalla cotica e dal salame sotto grasso, ma la sua resta sempre la mia preferita. Non sono convinta che si ricordi la varietà di riso: sono certa che comprassimo il riso a Robella nei sacchi di tela da 5 kg, ma non ricordo il nome. Quando la domenica si preparava la panissa, io e mio nonno Alfio versavamo il riso nel piatto e scartavamo i chicchi macchiati e secondo me quel riso era più piccolo rispetto al Roma; forse era un S. Andrea, che è anche il riso tipico delle nostre zone. Ma chissà, la memoria è sempre soggettiva.
Certo che quella panissa era così morbida e saporita! Se avanzava, mio nonno la raschiava dalla ramina e la sera la trasferiva in una padella per farla al salto, che secondo lui era ancora più buona. “Un disnè da spus!“ diceva, un pranzo da matrimionio.
Critici gastronomici, esperti e studiosi, confraternite e pro loco, non me ne vogliate!
Questa è la Panissa della signora Mariuccia della Robella di Trino.
E a me piace cosi 😉
Ingredienti per 4 persone
- Riso Roma o S. Andrea, 2 pugni a testa più due pugni per la pentola
- un salamino “normale” (non vecchio, non sotto grasso)
- 2 fettine di lardo
- 2 cipolle dorate
- 1 carota
- 1 gambo di sedano
- 250 gr di fagioli Borlotti secchi
Preparazione
Si comincia con la preparazione del brodo di fagioli, che devono essere lasciati ammollo per tutta la notte in acqua fredda. Il mattino seguente si scolano e si mettono a cuocere in abbondante acqua con una cipolla, una carota, un gambo di sedano e metà del salamino. Si lascia cuocere il brodo per un paio d’ore al massimo. Quando il brodo è pronto, si procede con la preparazione del riso.
Mia nonna usa tutt’ora la “ramina”, un paiolo di rame stagnato, nel quale si fa soffriggere un pezzetto di cipolla tritata molto finemente con il lardo, una fettina sottile di burro, un po’ di olio di oliva e il restante mezzo salame sbriciolato. Si aggiunge un goccio di acqua per lasciare ammorbidire questo intingolo, si fa asciugare e quindi si aggiunte il riso, da tostare per qualche minuto, mescolando bene per far assorbire i condimenti.
A questo punto si aggiunge il brodo, solo il liquido senza fagioli, fino a ricoprire tutta la superficie del riso, si mescola una volta e poi si lascia consumare il liquido a fuoco basso. (Questo sistema pare sia tipico dei risotti piemontesi, che si cuociono, mentre i lombardi aggiungono il brodo un poco alla volta e mescolano continuamente il riso).
Quando serve si aggiunge qualche mestolo di brodo, mentre i fagioli andranno aggiunti a pochi minuti dalla fine della cottura, per evitare che si sfaldino. A cottura ultimata si serve la panissa senza mantecare con il parmigiano, che invece si mette a tavola in modo che i commensali possano aggiungerlo nel piatto a piacere.
Giusta o sbagliata, per me questa panissa resterà sempre il piatto della memoria e del cuore.